venerdì 16 aprile 2021

L'amico con una sola gamba

 Non ho mai combattuto contro gli avversari, se non con un’unica eccezione: la boxe.

In quel caso, purtroppo, o le prendi o le dai, ma anche entrambe le cose insieme. Ho smesso proprio perché, a mio vedere, sarebbe davvero una nobile arte quella del pugilato se non terminasse con l’effetto violento del pugno.
Il mio sogno è che in un futuro non lontano, come si usa dire, la faccenda evolva come per la spada, o il fioretto, che è uno sport con gli stessi movimenti e le stesse problematiche della prontezza di riflessi, caratteristica che anche il pugilato richiede.
Come è evoluta la scherma? Lampante… anziché infilzarsi, i duellanti segnano punti con un cartello elettronico che “sente” le toccate. Fosse così per la boxe, nessuno la vedrebbe più come sport violento.

Nel nuoto ho sempre gareggiato contro me stesso, vale a dire il mio tempo personale.
Il tentativo di migliorarsi è umanamente comprensibile e deriva dal fatto che nuotare tre chilometri ogni mattina per ottenere un decimo di secondo in meno nella tua gara esige anche il riscontro che non hai buttato del tempo, del danaro e impiegato tanto sacrificio per niente.
Nove nuotatori su dieci a venticinque – trent’anni crollano, proprio per l’eccessiva mole di lavoro in piscina.

Quel giorno avevo già vinto un oro, nella mia specialità: cento metri rana.
Fabio, il nostro allenatore del Brescia Nuoto, un bravo ragazzo di trent’anni che in gara non eccelle ma ha meriti grandissimi per il suo modo di fare la preparazione dei sessanta e più atleti in gara ogni volta, mi convinse a tentare anche nella gara dei cinquanta delfino.
Io, in quella specialità, ho un handicap; ho le gambe troppo lunghe, sproporzionate rispetto alla mia già notevole altezza, prossima ai centonovanta centimetri. Va da sé che le gambe tanto lunghe affondano e costituiscono un attrito notevole sia nello stile libero che nel delfino. In quest’ultimo poi si deve pure fare quel bellissimo movimento di dare una sorta di calcio all’acqua fingendo che in superficie ci sia un pallone che si vuol far affondare.
Ecco: io fatico a tirar fuori le gambe, troppo a fondo nella nuotata, ed allora perdo secondi preziosi.

Ci chiamano ai blocchi di partenza. L’emozione è grande perché nei tempi segnalati dalla Fisi dovrei arrivare secondo. Il probabile vincitore è un fiorentino, della Old Star nuoto Firenze. Fabio continua a dirmi: “Mino, ce la puoi fare. Stringi i denti”
Mino è il mio nomignolo per gli intimi: mia moglie, i miei figli, gli amici sub, nel nuoto e negli scacchi. Diminutivo di Giacomo… Giacomino… Mino.
Sorpresa delle sorprese: al blocco di partenza viene accompagnato, da un apposito assistente, un bell’uomo che, contrariamente ai nostri coetanei over sessanta, ha ancora i capelli neri, quasi corvini. Gran fisico, spalle larghe ma non eccessive, muscoli tonici e ben proporzionati. Venti centimetri più basso di me.
Dove sta la sorpresa, direte voi? Ebbene, l’uomo, un toscano di una simpatia unica, ha un piccolo handicap: ha una sola gamba. L’altra gli è stata amputata all’altezza dell’anca.
Il mio cuore per un attimo si ferma, quando vedo la fatica che fa per salire sul blocco di partenza.

Lo aiutano; poi lui si sistema, si piega su quella sola povera gamba, agguanta con determinazione la tavoletta con le mani, e con perfetto stile pone la testa fra le gambe, proprio come se ci fosse anche la seconda.

Allo sparo mi ritrovo in testa, dopo il tuffo: è sempre così, sono alto ed ho un notevole slancio. Alla mia sinistra c’è il campione di Firenze della Old Star, favorito, il quale piano piano sta recuperando centimetri su centimetri. Resisto… voglio farcela, per Fabio, per la squadra, per me stesso. I miei punti potrebbero far vincere l’oro a squadre.
A venti metri dal traguardo capisco che ce l’ho fatta… il mio avversario ha mollato.
Ma, ora che mi rilasso e non guardo più a sinistra e nuoto liberamente, comincio a sentire un tipico sciacquio, quello di un corpo che pare sempre più vicino alle mie orecchie. É proprio alla mia destra… è lui, l’uomo con una gamba sola.
Inesorabile, bracciata dopo bracciata, il rumore si avvicina… sciacc… shiii… sciacc… shiii…; sembra una macchina perfetta, non perde un colpo, cadenza da orologio svizzero.
Poco prima di toccare, riesco a scorgere la sua cuffietta bianca e le possenti braccia che escono in alto per lanciarsi sul blocco d’arrivo, simultaneamente, quasi un tuffo alla rovescia, da dentro a fuori l’acqua.
Un gesto atletico che mi ha impressionato, devo essere sincero.
Tutti insieme voltiamo la testa al tabellone elettronico d’arrivo… sono secondo, il primo è lui, corsia numero sei.
Ho una sensazione mista, nel cuore… gioia, dolore, fatica, stupore. Il tutto diventa commozione, che sul podio della premiazione diventa per me groppo alla gola e per il pubblico un applauso mai sentito. Anch’io mi unisco agli applausi, interrotti dal vincitore che mi vuole stringere la mano. Lo fa, ed io, che ho una stretta esagerata, per la prima volta in vita mia ho capito cos’è una morsa d’acciaio.

Oggi io e Gianni siamo diventati grandi amici e quando ci troviamo in manifestazioni regionali toscane io faccio un gran tifo per lui… ah, non faccio più gare a delfino, io sono un ranista, c’è poco da fare… avete presente com’è una rana… braccine corte, gambe lunghissime… solo che io ho anche le braccia lunghe, purtroppo. Sono un ranista con un altro tipo di handicap.
Ma, a ben pensarci, siamo tutti handicappati in questa vita che a volte si dimostra crudele, più di certe belve umane.



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