giovedì 24 febbraio 2022

Senza pensieri

 

 

 

 

La ventisettenne Federica Granai, aveva perso il lavoro e subito dopo, si attivò per cercarsi un'altra occupazione. La donna, finalmente e dopo i primi contatti con una Azienda Toscana di telecomunicazioni e servizi informatici, superò cinque prove attitudinali e nel colloquio finale, quello decisivo, ebbe conferma del posto: la sua preparazione e il suo impegno, alla fine pagarono rendendola felice e serena. Purtroppo, al momento di sottoscrivere il contratto tanto sospirato, la Federica scoprì di essere incinta. Beh, aveva due possibilità: tacere e procedere con l'assunzione, oppure riferire del suo stato interessante e comportarsi quindi lealmente con il titolare della azienda. Troppo precisa e sincera per non comunicare la verità e appena saputo del suo stato, il titolare sorridendo le  disse: "Dov'è il problema? La assumo!". Quindi la Granai iniziò a lavorare,  dimostrò da subito le sue doti e quando giunse il momento, andò in maternità. Nacque un bel maschietto e proprio in questi giorni, la Federica ha ripreso a lavorare e promette molto bene. Una bella storia vero? Ma la domanda che vorrei porre è un'altra: "Perché mai questa dovrebbe essere una storia bella e piuttosto rara, quando invece, dovrebbe essere la...normalità?".  Perché in questo paese le donne dovrebbero pensare alla maternità preoccupandosi della perdita del lavoro? Quanti imprenditori o proprietari di aziende non pongono problemi alla gravidanza delle loro dipendenti? Parliamo tanto del problema sociale delle nascite, pensiamo alla alienazione impellente delle donne dinanzi a una scelta importantissima: lavorare o famiglia e figli? Questo è il grande cruccio del paese, donne con la necessità di lavorare senza dover rinunciare a mettere su famiglia e figli. Il caso raccontato dimostra che vi sono persone disinibite e pronte a non avere pregiudizi su questo tema. Facciano così tutti gli imprenditori, darebbero una mano alle donne e alle nascite. In un paese civile, questo accade generalmente.

 

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