giovedì 23 settembre 2021

Arbitro


Quant’era grosso quel campo…

Lo Stadio Flaminio, un gigante nato!

Mai visto prima, dall’interno mi incuteva un timore ancor più grande.

Ci giocavano squadre di rugby e calciatori in erba.

Un avvenire pieno d’incognite e promesse, ma anche, e soprattutto, di sogni.

Sogni infanti, non infranti, vive e turgide molecole di vita.

Anch’io vivevo quell’onirica realtà, giovane e rampante, ricco di calorie.

Quelle piste erano invitanti e Anselmo lo capì.

Mi stava aspettando.

Membro attivo dell’Opera di Dio, pochi anni più dei miei, due lauree e tanta Fede.

L’occhio di chi crede enfatizzato da due lenti, a renderli possenti.

Mi vide.

Capì che amavo il calcio e mi chiamò a giocare.

Ma non bastava: lo praticavo da anni, per me non era una novità.

Allora mi offrì qualcosa di nuovo.

«Ce l’hai un abito nero?»

Non coglievo il doppio senso, la ieratica allusione cromatica.

Gli risposi di sì, che l’avrei trovato.

«Allora fatti trovare pronto, mercoledì. Le squadre ci sono già, tu dovrai solo gestire il match».

Non avevo mai arbitrato un incontro. Partite, quelle sì: ne avevo disputate tante. Ma il fischietto mi era ignoto.

Quel giorno arrivò. Mi fu indicato uno stanzino, tutto mio.

Lontano, appartato dagli spogliatoi. Più ampio del necessario, servizi inclusi e chiavi personali.

Mi preparai, non mi sembrava vero.

Uscii che ero un figurino, chi mi incontrava mi rivolgeva il saluto, anche se non mi conosceva.

Entrai in campo e vidi i giocatori: rossi contro azzurri, i colori classici di ogni tempo.

Chiamai a me i capitani e li indottrinai per bene: nessuna scorrettezza, né gesti eccessivi, altrimenti subito fuori, senza esitazioni.

Iniziò il match e le due squadre si studiavano.

Equilibrio oltre misura, teso e tirato; ma scorrettezze no, neanche per idea.

Ad un certo punto, però, notai che c’era una costante.

Il difensore centrale rosso, biondo e alto, anzi di più, statuario, andava giù duro, senza mezze misure.

Una volta, due, tre: palla o giocatore faceva lo stesso.

Fu così che la veemenza si fece virulenta e prese il sopravvento.

Anche a centrocampo gli interventi si inasprivano, ogni istante di più.

Qualcosa andava fatto.

Il centrale stese la punta malcapitata che gli era stata assegnata.

Un’entrata agghiacciante.

Mi avvicinai, risoluto, e lo alzai: un cartellino giallo in pieno viso: il fumo gli usciva dalle nari, anch’esse più alte di me.

Eppure lo guardai negli occhi, non li abbassai.

Due secondi, forse anche tre, verso l’alto, fermo e risoluto.

Mai mi era capitata una cosa simile.

L’unico ostacolo che gli impediva di sbranarmi era quell’abito scuro che mi proteggeva.

Abbassò lo sguardo e io il braccio.

Ci girammo, tornammo ciascuno al proprio posto: lui in mezzo alla difesa, io a custodire l’incontro.

Da quel momento tutto si placò.

Rabboniti, i giocatori si passavano la palla e correvano, ma evitavano contrasti e scivolate.

E non solo: un’ala sinistra rossa, magra, di colore, inarrestabile, poteva finalmente librarsi lungo la fascia, lungi da tackle assassini!

Vittoria dilagante dei rossi, abbracci fraterni a chiudere le danze.

Quando ci ripenso non riesco ancora a decifrare bene ciò che accadde.

Di sicuro non fu la mia istintiva e inesperta dabbenaggine a donarmi il piglio giusto.

Potremmo definirlo “istinto alla conservazione”?

Lo stesso che ci induce alla conversazione, un dialogo interattivo, mai cattivo?

Oppure “interpretazione del reale”?

Una formula che non sbaglia mai…

Il prefisso sociativo è sempre lo stesso: il cum di con-servare e l’inter di inter-pretare rappresentano la punta di diamante, il tratto distintivo di un’appartenenza consustanziale.

Né può dirsi che l’armonia sia aprioristica, anzi…

Tanto più salda e saporita è quella che deriva da un percorso, anche sofferto.

Quel giorno tornai a casa orgoglioso, fiero di me: e sapevo perché.

Avevo vinto la mia partita personale.

Ero diventato un arbitro, dentro e fuori.

Ancora oggi per il torneo gli studenti hanno il loro cicisbeo!

Col fischietto, i cartellini e una convinzione radicata.

Quale?

La presenza non notata è vittoria assicurata, darsi torrido risalto porta in basso, non in alto.


 

 

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